Te lo ricordi?, Le meteore del nostro campionato

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CafèdeBrown
view post Posted on 26/12/2008, 11:33




Si rinizia!!! Sponda laziale

Quando gli incubi sono realtà...

Mea Vitali, il volante col bloccasterzo

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"Presto e bene non stanno insieme". Non fu certo la saggezza popolare a guidare Claudio Lotito in quelle concitate ventiquattr'ore agostane, dove per rimpolpare una rosa a dir poco esigua il patron laziale acquistò nove giocatori. Se Rocchi finì in nazionale, i fratelli Filippini non delusero, Siviglia fece del suo meglio, Seric andò a fasi alterne e Talamonti ogni tanto si travestìva da goleador, il duo argentino formato da Bryan Robert ed Esteban Gonzales si adoperò in ogni modo per finire nella presente rubrica, ma purtroppo per loro tale onore sarebbe stato concesso solo a Miguel Angel Mea Vitali. Un nome lungo quanto il suo curriculum, nel quale veniva accostato il gotha del calcio venezuelano, il Caracas FC, ad una svenevole esperienza nella serie B spagnola nel Lleida e soprattutto una ragguardevole militanza nella nazionale sudamericana, di cui Mea Vitali costituiva un valoroso habituè. Casacca biancoceleste sulle spalle e volontà inossidabile di farsi spazio nel campionato italiano, Miguel Angel veniva descritto come un volante, vale a dire un centrocampista che davanti alla difesa dovrebbe costruire il gioco e spezzare quello avversario. Non si offenda il venezuelano DOC Massimo Margiotta, ma tali caratteristiche forse potevano essere espresse nella "Primera Divisiòn Venezolana": Miguel Angel fece capire immediatamente a Mimmo Caso il motivo per il quale nel suo paese era il baseball lo sport più praticato. Nessuna apparizione nella Lazio operaia per lo smunto centrocampista dai capelli nero corvino che non venne ritenuto utile nemmeno per fare numero e dunque spedito in prestito al Sora in serie C1. Saggiata la provincia frusinate e i campi polverosi del calcio minore, Mea Vitali non riuscì a fare breccia nemmeno negli schemi di Eziolino Capuano, tanto da finire costantemente in panchina e abbandonarla per sette non memorabili apparizioni, tra le quali una contro la Sambenedettese da più parti definita "spenta". Concluso il parcheggio in una squadra quanto mai modesta, e che pure gli aveva negato spazi ripetutamente prima di scomparire dal professionismo, Mea Vitali fece ritorno alla Lazio, sorprendendo anche il webmaster che si dimenticò di inserirlo nella rosa ufficiale e lo stesso custode di Formello che ogni volta gli chiedeva i documenti. Anche Lotito era sovrappensiero e sorvolò sul pagamento di alcuni stipendi arretrati, e Miguel Angel si ritrovò senza soldi e fuori rosa. Pare che per principio gli fu negato il trasferimento alla Viterbese, e così il "volante" si trovò immobilizzato da un bloccasterzo inestricabile. Era ormai chiaro che Mea Vitali non aveva nulla da dare al calcio italiano, pur essendo una colonna della sua nazionale da diversi anni, e per fortuna arrivarono i greci del Levadiakos a togliere d'imbarazzo il magazziniere che non sapeva dove trovare una maglia a sua disposizione. Anche ad oriente le qualità di Mea Vitali non ebbero modo di risplendere e nel 2006, come la mappa cromosomica di un certo tipo di giocatori pretende, arrivò il richiamo della foresta, in questo caso amazzonica, e dell'Uniòn Atletico Maracaibo, l'altra grande squadra del calcio venezuelano. Mea Vitali ha completato così il suo percorso europeo, totalmente anonimo, ed è anche riuscito a consumare un tradimento colossale vestendo in patria le maglie di due rivali storiche. Come passare dall'Inter alla Juventus o viceversa. Lotito ha avuto modo di pentirsi dell'acquisto di Mea Vitali, che a quanto ne sappiamo in questo momento sta rimirando come un trofeo la settantina di presenze in nazionale dal salotto di casa sua. Lotito voleva un giocatore "didascalico", Mea Vitali non si è dimostrato tale, tradendo i suoi ex tifosi di Caracas!
 
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~ Carlo™
view post Posted on 26/12/2008, 11:50




Si, me lo ricordo! Con le piccole lo compravo su FM
 
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CafèdeBrown
view post Posted on 5/1/2009, 11:28




Pacheco, la zappa del Casal

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Giocatore sudamericano rivelatosi poco adatto ai ritmi europei, conteso da varie big e finito poi per fare flop all'Inter. Antonio Pacheco, attaccante di scuola Penarol, è il prototipo delle meteore, e non a caso la sua storia è un grande classico del genere. TMW lo aveva colpevolmente trascurato in questi anni, ma eccoci qui a tappare la falla. Ecco a voi uno dei "capi-meteora" più prestigiosi del nostro campionato...

Antonio "Tony" Pacheco D'Agosti nasce a Montevideo l'11 aprile 1976, e si forma nel settore giovanile del Penarol. Debutta in prima squadra nel 1993, a soli 17 anni, andando ad inserirsi in un reparto d'attacco che qualche tempo dopo sarebbe emigrato in blocco verso l'Italia: con lui ci sono infatti Dario Silva, Federico Magallanes, Marcelo Otero e Luis Romero (quest'ultimo penosa meteora del Cagliari). Nel corso degli anni successivi vestiranno la casacca giallonera anche Marcelo Zalayeta, il torinista Franco, ma anche i vari Bizera, Giacomazzi e Pablo Garcia. Insomma, è un gran viavai tra il club di Montevideo e le compagini di serie A, ma l'unico a non partire sembra essere proprio Pacheco, il quale tuttavia si toglie non poche soddisfazioni in patria. Tra il 1993 e il 1999 vince cinque scudetti consecutivi, segnando con continuità e arrivando anche ad essere convocato nella sua Nazionale per la Confederations Cup del 1997, dove lo si vede impiegato al fianco di un giovanissimo Recoba contro Sudafrica ed Emirati Arabi. Nel 1999 - anno in cui viene nominato, tra l'altro, miglior giocatore del campionato uruguaiano - parte per la Copa America in Paraguay; sconfitta con il Brasile in finale a parte, Pacheco disputa un discreto torneo, offrendo una valida alternativa alla coppia Magallanes-Zalayeta. Allo sbocciare del 2000, il suo procuratore Paco Casal ritiene il giocatore idoneo per il grande salto verso l'Italia. A maggio lo adocchia la Reggina, e viene proposto al Napoli di Zeman; il club azzurro si dice pronto a sborsare oltre 10 miliardi di lire, ma poi non sferra l'attacco decisivo. In autunno - quando Pacheco ha già ricominciato il campionato con il Penarol - la sfida per accaparrarselo è addirittura tra Juventus e Barcellona, con i bianconeri che vantano un accordo sulla parola con il giocatore e meditano di parcheggiarlo in prestito al Grasshopper. Ma Paco Casal escogita un colpo di teatro. Giunto a Milano a fine dicembre 2000 per il rinnovo di contratto di Alvaro Recoba, propone Pacheco all'Inter come "bonus" in cambio di un sostanzioso rialzo d'ingaggio per il Chino. Moratti, fregandosi le mani per aver scippato il giocatore ai rivali bianconeri, accetta: Recoba firma un quinquennale da 15 miliardi di lire a stagione, e il ricercatissimo Pacheco poche settimane dopo sbarca il Lombardia. L'Inter elargisce al Penarol circa 10 milioni di lire per la metà del suo cartellino - meno di quanto avrebbero speso Barça e Juve, che pure sembravano in vantaggio -, con la possibilità di riscattarlo completamente nel 2002. Su di lui, oltre che Luisito Suarez (che l'aveva consigliato a Moratti in tempi e a costi non sospetti), garantisce proprio il neo-miliardario Recoba: "Antonio può giocare sia prima che seconda punta, esterno o dietro due attaccanti. Rispetto a me, comunque, è più uomo d'area. Gioca ugualmente bene con tutti e due i piedi, è rapido e soprattutto ha grandi doti tecniche, grazie alle quali riesce a segnare spesso gol spettacolari. Li vedrete anche qui". Pure il tecnico Marco Tardelli gongola: ha preferito Pacheco all'esperto Romario, il quale si era proposto all'Inter a cifre non impossibili. Ma a chi gli chiede, nello specifico, se questo nuovo uruguaiano sia una punta o piuttosto un fantasista, non sa che rispondere. Per i tifosi nerazzurri non è un bel segnale.

Pacheco, va detto, capita in un'annata disgraziatissima per l'Inter. La squadra è un coacervo di nazionalità e colori, e durante il mercato di gennaio la Pinetina si trasforma in un porto di mare, con un numero tale di trasferimenti da far venire il capogiro. L'uruguaiano, da parte sua, ha il torto di non scegliere inizialmente il low profile, anzi… "Con me a destra e il Chino a sinistra nulla è proibito - spiega poco prima di sbarcare a Milano -. Alvaro mi ha detto che la squadra ha potenzialità enormi, un grande gruppo e che possiamo essere in grado di affrontare ogni avversaria alla pari. Io arrivo e devo darmi da fare, il campionato italiano, si sa, è una sfida... Il Chino mi ha parlato del presidente Moratti che soffre con la squadra e per la squadra. La sua fiducia è per me una grande spinta, non voglio deluderlo". Alle sei di pomeriggio del 2 gennaio 2001 Pacheco è alla Malpensa insieme al vice-Casal, Daniel Delgado: guarda caso, sull'aeroporto in quelle ore si abbatte una potente bufera di neve. Ma la sua allegria scioglie il freddo inverno milanese: "A me piace il calcio, io entro in campo sempre per divertirmi. Dicono tutti che le mie giocate sono spettacolari e i miei gol sono sorprendenti. Io delle volte mi sono rivisto e mi sono piaciuto". Sulla classica domanda circa i suoi modelli calcistici, si destreggia dignitosamente ("Enzo Francescoli, ma assomiglio molto a Pato Aguilera"); meno lucido appare nei giudizi sui giocatori del nostro campionato ("Per me il più forte in assoluto è Recoba, poi vengono Shevchenko e Totti"). Soprattutto, l'uruguaiano non chiarisce le perplessità sul suo ruolo in campo, dichiarando testualmente alla Gazzetta dello Sport: "Io sono una seconda punta. Posso giocare anche da trequartista, ma soprattutto da seconda punta. Mi piace muovermi in prossimità dell'area di rigore. Credo di avere una buona capacità conclusiva. Ho un tiro preciso, piuttosto forte. Insomma una seconda punta che sa crearsi situazioni pericolose, che può fare assist e può segnare. Il piede naturale è il destro, ma non ho problemi a calciare con entrambi e a muovermi su tutti e due i lati del campo". Bah. In ogni caso, pur se con Ronaldo fermo, l'attacco dell'Inter è piuttosto affollato: oltre a Recoba ci sono già Vieri e Hakan Sukur a contendersi una maglia. Tardelli timidamente lo fa esordire il 20 gennaio contro la Lazio all'Olimpico, regalandogli gli ultimi dieci minuti di gara, poco dopo aver incassato il definitivo 2-0. "Potrà risolverci delle partite, lasciamo che si ambienti" chiosa Moratti, che nel frattempo per cautelarsi prende l'esperto Ferrante dal Torino; del resto Pacheco ha alle spalle 38 gol in 96 partite con la maglia del Penarol, e dunque ci si può aspettare da lui qualcosa di importante. Il 22 febbraio, come all'Olimpico, l'uruguaiano viene spedito in campo con i suoi sotto per 2-0, nel ritorno di Coppa Uefa contro l'Alaves. La rabbia dei tifosi nerazzurri per l'eliminazione dal torneo si abbatte anche contro di lui. Mentre i nerazzurri navigano nei bassifondi della classifica, di Pacheco si perdono completamente le tracce fino a marzo, quando segna un gol nell'amichevole contro il Seregno. Poi solo tribuna, con sporadiche apparizioni in panchina (siede a bordocampo l'11 maggio, assistendo così impotente all'umiliante 0-6 contro il Milan). Al suo posto si alternano Vieri, Ferrante e Sukur, seppure con risultati non sempre brillanti. Alla fine l'Inter agguanta un insperato quinto posto, e Moratti chiama il tecnico Hector Cuper in vista della stagione 2001/2002. El hombre vertical valuta Pacheco nel corso del ritiro prestagionale, ma il ritorno di Ronaldo e l'arrivo di Ventola e Kallon appaiono chiari segnali di chiusura. Il giocatore in estate va vicino al trasferimento al Malaga e al Defensor Sporting, ma deve attendere ancora qualche mese prima di lasciare l'Inter, dove nel frattempo viene messo ai margini della rosa anche a causa di un misterioso (e probabilmente diplomatico) infortunio. Il 25 gennaio 2002 il giocatore viene spedito in prestito con diritto di riscatto all'Espanyol, che nelle stesse ore prende anche il centrocampista Paulo Sousa. Nel club di Barcellona, l'attaccante trova il connazionale Mauro Navas, reduce dall'infelice esperienza all'Udinese. Il compagno giusto con cui dire peste e corna del campionato italiano.

All'Espanyol, Pacheco riesce quantomeno a rivedere il campo, anche se la media gol lascia sempre a desiderare: tre centri (contro Rayo Vallecano, Las Palmas e Villarreal) in 12 partite giocate da gennaio a giugno. I biancoblu rispediscono dunque il giocatore all'Inter, che opta per un altro prestito in Spagna, stavolta al neopromosso Albacete. Qui l'uruguaiano diviene titolare inamovibile, e l'assoluta sterilità dell'attaccante (7 reti in 33 gare) non sembra essere d'intralcio per il club castigliano, che anzi a fine 2003 ne riscatta l'intero cartellino dall'Inter. Pacheco ripaga la fiducia mettendone dentro, nella stagione successiva, 12 in 34 partite, e attestandosi dunque a livelli analoghi rispetto a quelli di inizio carriera. Ma a giugno 2005 l'Albacete retrocede in seconda divisione, e così a gennaio il giocatore si concede una fugace avventura in prestito con l'Alaves (sì, quello che batté l'Inter in una delle sue due uniche presenze in nerazzurro), riuscendo ad imporsi all'attenzione del tecnico Banuelos, tanto che a giugno inaspettatamente il ct Tabarez lo richiama in Nazionale per la gara contro il Perù. Ad ottobre, in seguito a dissidi con il tecnico Cesar Ferrando, l'attaccante rescinde con l'Albacete per tornare a gennaio in Sudamerica, precisamente al Gimnasia La Plata, con cui firma un triennale. In Argentina Pacheco non riesce però ad ambientarsi, accumulando solo 4 presenze; decide allora di rifugiarsi in patria, tornando al Penarol nell'estate del 2007. L'aria di casa, come al solito, giova: sette gol in 12 partite nel Torneo di Clausura. Recentemente l'uruguaiano, divenuto capitano della squadra, ha rinnovato il proprio contratto fino al giugno del 2009. Per gli ultras gialloneri è un idolo incontrastato: qualche settimana fa la tifoseria organizzata gli ha regalato un quadro di dimensioni un metro per un metro, con la sua immagine e la scritta "¡Gracias, Tony!". Una copia dell'opera è stata regalata pure alla madre. Per il Penarol, insomma, è un pezzo di storia, e tutto sommato lo è anche per l'Inter. Un caposaldo delle meteore, un pezzo pregiato di questa rubrica. E allora "Grazie Tony" anche da parte nostra.
 
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.:AIG:.™
view post Posted on 5/1/2009, 11:55




C'è bisogno di andar così tanto indietro nel tempo quando c'è la campagna acquisti dell'Inter che fa affari.
Ma Quaresma e Mancini hanno preso esempio da Adriano?
 
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Godot89
view post Posted on 17/2/2010, 22:53




gran bel lavoro... perchè ti sei fermato? ci sono tanti tifosi che vogliono piangere ancora al ricordo delle gesta dei loro "eroi"!!! :D
in ogni caso complimenti...
 
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11SIX™
view post Posted on 20/2/2010, 12:49




Effettivamente questa rubrica andrebbe ripresa... solo che Dino è stato anche lui rapito daglia alieni...
 
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view post Posted on 20/2/2010, 13:26

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Si ora come ora si trova intrappolato nel pianeta Pandora
 
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view post Posted on 1/3/2010, 09:14

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Costinha, il giocoliere dell'Atalanta



Si presentò a Bergamo con un buon biglietto da visita, una Champions League vinta con il Porto anche per merito suo ed altri prestigiosi trofei, poi 2 anni e mezzo vissuti nell'anonimato ed ora la fine di un'agonia. Josè Rodriguez Da Costa detto Costinha ha rescisso il contratto che lo legava all'Atalanta fino al prossimo giugno. Del resto sarebbe stato strano il contrario se si considera che il centrocampista in nerazzurro ha disputato una sola gara ufficiale.

Arrivò nell'estate 2007, Del Neri lo aveva fortemente voluto in quanto lo conosceva dai tempi del Porto ed il 2 settembre il portoghese debuttò nel nostro campionato in un Atalanta-Parma terminato 2-0 per gli orobici, in quel match restò in campo soltanto 54' perchè poi dovette abbandonare il campo a causa di un infortunio. Da quel momento iniziarono le sue disavventure, in nerazzurro non disputò più nemmeno un minuto e si iniziò a parlare di lui solo per le sue apparizioni in tribuna San Siro per assistere alle partite dell'Inter in quanto amico di Mourinho, due anni e mezzo senza giocare pur guadagnando 700mila euro netti a stagione. La storia con l'Atalanta, se mai era iniziata, è comunque finita e Costinha a 35 anni è ora libero di potersi accasare altrove, il suo sogno è sempre stato quello di vestire la maglia dello Sporting Lisbona, ma forse questo lungo periodo di inattività potrebbe segnarne la fine di una comunque gloriosa carriera.
 
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andreja93
view post Posted on 12/8/2010, 19:10




Nanni, un pistolero senza colpi


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Arrivato alla Dinamo Kiev di Mikhailichenko, il bomber argentino Roberto Nanni credeva forse di aver ormai 'conquistato' l'Europa. Peccato che proprio in quel momento gli si sia inceppato il grilletto, concedendo così poche emozioni ai tifosi di Siena, Messina e Crotone. La serie B e poco dopo l'umiliazione di rimanere senza contratto: una brutta fine, per uno su cui l'Albiceleste di Bielsa aveva pure fatto un pensierino…

Roberto Antonio Nanni nasce ad Azul, cittadina della provincia di Buenos Aires, il 20 agosto 1981. Da ragazzino si forma nelle giovanili dell'Alumni Azuleño, club semi-dilettantistico del luogo, ma a 16 anni entra a far parte della squadra juniores del Velez Sarsfield, iniziando così la sua avventura nel grande calcio. Quattro anni dopo il tecnico Edgardo Bauza lo ritiene pronto per il debutto in prima squadra: è il 26 agosto 2001 ed il Velez affronta il Newell's Old Boys. Nanni, attaccante di peso ma dotato di buona tecnica, entra al 67' e crea subito scompiglio nella retroguardia ospite, segnalandosi tra i migliori in campo. Il primo gol in Primera Division è datato 3 ottobre, contro il Lanùs: ne seguiranno altri undici, in quella stagione. L'anno successivo Carlos Ischia non può che affidargli ad occhi chiusi le chiavi dell'attacco, insieme a Dario Husain: Roberto lo ripaga andando in gol con una facilità impressionante, arrivando a toccare quota 22 reti in 33 partite giocate. Da segnalare, in particolare, lo storico gol al 90' contro il River Plate al Monumental, che regala la vittoria per 1-0 agli ospiti. Alla fine il Velez agguanta un prestigioso terzo posto, e Nanni si attesta secondo nella classifica marcatori del Torneo di Clausura, alle spalle dell'ex genoano Figueroa. E' ufficialmente nata una stella. Già titolare in Under 20, Roberto - che nel frattempo si è guadagnato il soprannome di El pistolero - sfiora anche la Nazionale maggiore di Bielsa. Il suo nome comincia a circolare con insistenza sul mercato europeo, ed in particolare sui taccuini di club turchi, francesi, greci e italiani. Il solito Perugia multicolore lo tratta nel corso di tutta l'estate, e anche Reggina, Roma e Bologna si mettono sulle sue tracce, ma alla fine la spuntano i ricconi della Dinamo Kiev, che offrono una cifra pari a cinque milioni di euro. Nanni fa in tempo a giocare due sole partite di Apertura 2003, contro Banfield e Rosario - andando pure in gol contro quest'ultimi -, prima di trasferirsi in Ucraina. Per lui contratto quadriennale con un'opzione per il quinto anno, e maglia numero 18. "Ho visto diverse partite della Dinamo e mi sono divertito molto - spiega l'attaccante (primo argentino nella storia del club) nel giorno della presentazione -. Mi piace lo stile di questa squadra, veloce e flessibile". In effetti la compagine di Aleksey Mikhailichenko produce un calcio d'ottima qualità, ma la coppia d'attacco Verpakovskis-Milevsky è più che sufficiente per raggiungere lo scopo. Nanni diventa la quarta/quinta scelta per il reparto offensivo, e in campionato non viene utilizzato praticamente mai. Fa capolino in Champions League contro l'Arsenal, il 5 novembre, giocando i venti minuti finali all'Emirates Stadium, ma poche settimane dopo si infortuna al ginocchio destro ed è costretto a stare fermo per tre mesi (saltando, tra l'altro, il match successivo contro l'Inter). La stagione 2004/05 si apre con la non felicissima partita contro il Trabzonspor per i preliminari di Champions, ad agosto: Nanni entra al 64', e un minuto dopo i turchi segnano l'1-2 finale (gli ucraini ribalteranno poi il risultato al ritorno). I dirigenti della Dinamo si spazientiscono e ad ottobre decidono di dare in prestito il giocatore all'Almerìa. I ritmi blandi della serie B spagnola consentono a Roberto di ritrovare minutaggio e gol (5 in 12 presenze, doppietta contro il Tenerife), e tanto basta alle squadre italiane per riscoprire la loro vecchia passione nei confronti del giocatore. Stavolta il Perugia - appena dichiarato fallito e iscrittosi alla C1 - non può entrare nell'affare, e così a spuntarla è l'ambizioso Siena, alla sua terza stagione consecutiva in serie A. Prestito gratuito con diritto di riscatto dalla Dinamo Kiev; per i bianconeri una pesca argentina con alle spalle due precedenti confortanti (Cufré e Cejas) ma altrettanti disastrosi (i difensori Arano e Leone, caduti nel dimenticatoio dopo le zero presenze in Toscana). Serviva uno spareggio.

Batistuta e Crespo: i suoi idoli, i suoi modelli di riferimento. Ed ecco che scatta l'infausto paragone. "Il Siena balla il tango con Nanni" carica la Gazzetta dello Sport, e i tifosi si infiammano. Roberto tutto sommato si contiene: "In Italia dovevo arrivare molto prima, prima di passare alla Dinamo Kiev - spiega durante la presentazione ufficiale, il 14 luglio 2005 -. Credo che insieme a quello inglese e a quello spagnolo, questo sia il campionato più bello del mondo, ed è sempre stato un sogno per me. Adesso voglio godermi questa grande chance che mi ha dato il Siena e togliermi finalmente delle soddisfazioni". Nessuna promessa, ci mancherebbe altro: "Per adesso devo solo pensare a lavorare molto per recuperare al meglio e trovare la mia migliore condizione. Certo spero di fare molti gol, aspettiamo e vedremo cosa potrò fare". Il tecnico Gigi De Canio vede in lui una torre perfetta per creare gli spazi giusti al bomber Enrico Chiesa, e ottimo terminale per i cross di Jonathan Bachini. In poche parole, l'erede della bufala Flonaldo dell'anno prima. L'argentino segna un bel gol in amichevole contro la Juve Stabia, il 7 agosto: entrato al 39' della ripresa, dopo un minuto va a raccogliere un traversone di Alberto e segna di testa l'1-0. Poi arrivano le gare ufficiali: Nanni gioca in Coppa Italia contro Avellino e Atalanta, non destando impressioni entusiastiche. Così in campionato partono Chiesa e Locatelli davanti; Roberto può debuttare in serie A soltanto il 15 ottobre, quando viene chiamato a sostituire Marazzina nei venti minuti finali del match contro l'Udinese. Dieci giorni dopo a sorpresa De Canio lo lancia da titolare contro la Fiorentina - finirà 1-2 per i viola -, e lui suda sette camicie per non far rimpiangere Chiesa (che lo sostituirà a inizio ripresa), andando anche vicino al gol in diverse occasioni. Contro il Chievo il tecnico denota però i primi segni di nervosismo: fa entrare l'argentino al 19', per poi toglierlo nuovamente dal campo a favore di Volpato cinque minuti dopo. Eppure non era stato certo tra i peggiori, anzi. Scampoli di partita contro Lecce, Reggina ed Empoli, poi di nuovo una chance da titolare in casa contro il Parma. Nanni ancora una volta corre, fa movimento e serve buoni palloni per i compagni, ma - pur uscendo dal campo tra gli applausi - dimostra una preoccupante allergia al gol. Malattia che invece non affligge il bomber Erjon Bogdani, il quale "esplode" nel freddo inverno senese relegando il povero Roberto ai margini della squadra. A gennaio i bianconeri prendono Guzman dal Crotone e rispediscono Nanni - dopo altri due spezzoni contro Livorno e Palermo - a Kiev: il giocatore dapprima tratta con i messicani del Cruz Azul, poi finisce per accordarsi con il Messina nell'ultimo giorno utile. Ancora un prestito con diritto di riscatto, ma quest'ultima postilla suona sempre più come un'utopia…

In riva allo stretto, Bortolo Mutti accoglie Nanni a braccia aperte: spazientito da Yanagisawa e disorientato dalle partenze di Iliev e Zampagna, il tecnico confida nell'argentino e nell'acquisto del giovane Sergio Floccari per rimettere in piedi una stagione deficitaria. Qualche minuto contro Livorno e Sampdoria, giusto per prendere confidenza con i nuovi compagni di squadra, poi l'exploit da titolare contro la Juventus: Floccari segna due gol, Nanni ne sfiora altrettanti dimostrando comunque ottima personalità. Contro il Parma l'argentino parte ancora dal primo minuto, fornendo però una prestazione piuttosto scialba. Pare un triste remake dell'esperienza senese, ma all'improvviso arriva il gol: il 12 marzo contro il Lecce l'attaccante entra al 78', sull'1-1, e dopo appena otto minuti segna la rete della vittoria che fa esplodere il San Filippo. Sembra potersi aprire un ciclo felice, e invece sulla panchina dei giallorossi arriva poco dopo Giampiero Ventura, che relega costantemente Roberto in panchina, utilizzandolo solo per pochi minuti contro Chievo, Empoli e Palermo. Dunque la retrocessione, il ripescaggio, la ricostruzione. Nanni ovviamente è tra i primi a farne le spese, e poiché la Dinamo Kiev proprio non vuole saperne di riprenderselo il ragazzo ottiene un nuovo prestito in Italia, stavolta al Crotone, in serie B. Qui trova il connazionale Ricardo Matias Veron (centrocampista che l'anno dopo finirà proprio al Siena), mentre in attacco il suo partner è il paraguaiano Dante Lopez. L'argentino - con la maglia numero 9 - sembra trovarsi più a suo agio nella cadetteria, e quando alla seconda di campionato il ragazzo va già in gol contro il Cesena il tecnico Elio Gustinetti non può che fregarsi le mani. Ma è l'ennesimo bluff: Roberto inizia progressivamente a giocare sempre meno e sempre peggio. Un altro gol contro il Pescara a dicembre, con la solita tattica dell'entra e segna: mandato in campo al 63', trasforma in rete il primo pallone toccato, sfruttando un'indecisione della difesa ospite. Ma la prodezza non gli vale la riconferma: quella contro il Pescara è infatti la sua ultima apparizione nel campionato italiano. A gennaio rescinde il contratto con la Dinamo Kiev e si mette sul mercato degli svincolati, senza però trovare acquirenti. Dopo quasi dieci mesi di inattività, Nanni torna allora al Velez Sarsfield per iniziare una nuova fase della sua carriera: è l'autunno del 2008. La tifoseria biancoazzurra stenta a riconoscere il pistolero che otto anni prima aveva regalato loro enormi soddisfazioni: la vena realizzativa è visibilmente in via di esaurimento (tre gol in 31 apparizioni, fino a questo momento), ma Roberto - che con il suo Velez ha iniziato da qualche settimana il torneo di Clausura - ha ancora tempo per dimostrare di essere tornato il bomber di inizio carriera. A gennaio la società ha deciso di affiancargli in attacco Joaquin Larrivey, l'ex attaccante cagliaritano fortemente indiziato di essere uno dei più grossi flop degli ultimi anni. Giovani meteore crescono: vederli giocare insieme è un piacere. Per noi che non tifiamo Velez.
 
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Domy_Magno
view post Posted on 12/8/2010, 20:17




mi sa che Batistuta e Crespo sono rimasti solo idoli per lui.
 
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view post Posted on 12/8/2010, 20:22

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Vampeta
Il fantasma brasiliano baffuto trasformatosi in icona gay
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Marcos Andrè Batista Santos, in arte Vampeta (derivante dalla fusione delle parole “vampiro” e capeta, che significa “diavolo”), non è una semplice meteora, ma qualcosa di più. Possiamo considerarlo uno dei desaparecidos per eccellenza. All’età di 20 anni viene notato dal PSV Eindhoven: si fa le ossa nella Serie B olandese, poi per una stagione torna in Patria, al Fluminense, per poi riapparire nuovamente alla casa madre, in quel PSV in cui gioca un certo Ronaldo, dove Vampeta resta due anni vincendo Scudetto e Supercoppa. Sembra finita qui la sua parentesi europea: nel 1998 torna in Brasile, al Corinthians, dove vince in tre anni un Campionato ed un Mondiale per Club. Nel frattempo, il nuovo allenatore della Nazionale verdeoro Luxemburgo decide di farne l’erede di Dunga. Gli effetti sono positivi: Vampeta dispensa giocate di ottimo livello, con prestazioni ottimali sul piano qualitativo e quantitativo. Si mettono quindi sulle sue tracce diverse squadre italiane, ed alla fine prevale l’Inter, che lo ingaggia per la “modica” cifra di 15 milioni di Dollari (oltre 30 miliardi di Lire). La squadra del Patron Moratti è appena stata eliminata dalla Champions League e sta cercando di riprendersi: Ronaldo (che già si trovava a Milano) si è ricordato dei bei tempi del PSV e ha avuto la brillante idea di chiamare l’amico Vampeta. Fu così che il centrocampista firmò un quadriennale: «Vampeta di entusiasmo» è il simpatico titolo che gli dedica la “Gazzetta dello Sport” il giorno della presentazione, il 5 Settembre 2000. L’esordio è positivo: va in gol (anche se con l’evidente complicità di Peruzzi) all’esordio in Supercoppa Italiana contro la Lazio, dove l’Inter verrà sconfitta 4-3. Il brasiliano viene subito caricato di responsabilità da parte di tifosi e giornalisti, poiché vedono in lui l’uomo destinato a mettere ordine in una squadra confusa: niente di più sbagliato. In seguito alle dimissioni di Lippi arriva sulla panchina nerazzurra Tardelli che, da questo momento, non gli farà più vedere il terreno di gioco per un paio di mesi. A Novembre, dopo tanta tribuna, il centrocampista sbotta: «Nella mia carriera non ho mai vissuto momenti come questo. Sono stato eletto miglior giocatore del Brasile, sono titolare nella mia Nazionale, ma non gioco. Se non c’è spazio per me, preferisco andarmene». La squadra intanto sprofonda: i tifosi si chiedono se quello sbarcato a Milano non sia una controfigura del centrocampista ammirato con la maglia del Brasile. Il 29 Novembre 2000 gioca la sua ultima partita nerazzurra, in un disastroso 6-1 subito dal Parma in Coppa Italia. E così la dirigenza lo spedisce via in tutta fretta: a Gennaio i nerazzurri lo cedono in prestito al Paris Saint Germain, che in cambio offre ai nerazzurri Stephane Dalmat, che proprio fenomeno non è. Ormai lontano dall’Italia, criticò Moratti di non capire di calcio, e in seguito rilasciò dichiarazioni contro la città di Milano e la stessa Parigi. Come se ciò non bastasse, la madre dei suoi figli lo denunciò per averla malmenata. Ormai con la carriera in picchiata verso il basso, andò a giocare in Kuwait per poi ritornare nel Brasiliense e nel Goias, squadre minori brasiliani, dove sarà ricordato per aver detto che la squadra del Goias era piena di omosessuali. Nei primi mesi del 2003 si infortunò molto gravemente ai legamenti del ginocchio sinistro, ma non si fece prendere dallo sconforto, dicendo: «Farò miracoli per tornare a giocare il più presto possibile». Purché non in Italia.
 
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Domy_Magno
view post Posted on 12/8/2010, 20:28




Winston Bogarde, un altro asso dall'Olanda



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Il rendimento dello storico trio olandese del Milan (Gullit, Rijkaard, Van Basten) ha spesso portato la dirigenza rossonera nei Paesi Bassi alla ricerca di qualche altro asso. Con Winston Bogarde è decisamente andata male. Il terzino sinistro, approdato sotto la Madonnina nell'estate del 1997, ci ha messo davvero poco per fare capire di essere distante anni luce dai più celebri connazionali: Capello l'ha spedito in panchina dopo tre sole apparizioni e a gennaio ha dato il beneplacito al suo trasferimento al Barcellona.

Stagione 1997-98: la Sentenza Bosman del ‘95 ha dato il via ad una nuova frontiera nel calciomercato. Il Milan non si fa trovare impreparato, così, per rinverdire i fasti di un indelebile passato, che già si era tinto di arancione, pesca a mani piene nella giovane rosa dell’Ajax, che tre anni prima, nella finale di Champions League, lo aveva messo in ginocchio a Vienna. Galliani, dopo aver prelevato l’anno prima Reiziger e Davids, bussa nuovamente alla porta dell’Ajax. Obiettivo numero uno è il bomber Patrick Kluivert, quella che avrebbe dovuto essere la risposta del Milan all’arrivo di Ronaldo. Insieme al promettente centravanti, però, arriva a Milanello anche l’energico laterale sinistro Winston Bogarde. Due innesti che, nonostante siano frutto di una schizofrenica campagna acquisti, figlia del dubbio Sacchi-Capello, risolto dalla società con colpevole ritardo, restano ad ogni modo vanto assoluto della dirigenza rossonera, sia per la qualità dei calciatori, sia per l’impatto, praticamente nullo, se non per gli ingaggi, sul bilancio societario.

Risparmiati i soldi sull’acquisto, avvenuto a parametro zero, il Milan, però, non lesina sullo stipendio del difensore, proponendogli un quadriennale a un miliardo e 800 milioni l’anno. Sguardo truce, fisico da energumeno (1.90 cm x 80 kg), l’olandese non pare affatto un giocatore di calcio, sembra, piuttosto, essere uno di quei buttafuori, tutto muscoli e zero cervello. Un marcantonio che ha saputo tener ben nascoste le sue lacune tecniche. Sin dalle prime sgambate, infatti, ci si accorge che i piedi non sono propriamente raffinati, ma sarebbe meglio dire “il” piede, visto che il destro il buon Winston lo usa solo per prendere l’autobus, per non parlare della sua sgraziata lentezza. Eppure era arrivato all’ombra del duomo con tanto di squilli di tromba e con un curriculum di assoluto valore, dichiarando con spavalderia: «Sono venuto qui per giocare sempre e vincere tutto».

Durante il precampionato Capello le prova tutte pur di trovargli posto nell’undici titolare, finanche la difesa a tre (una vera e propria eresia per il Milan!). Il punto è che nel ruolo di centrale difensivo, nonostante l’addio di Baresi, la concorrenza è tanta. Sugli esterni, invece, mentre a sinistra giostra Ziege, con Maldini che rimbalza, bontà di Capello, da una fascia all’altra, a destra “Bogardone” ci sta con la naturalezza dei cavoli a merenda. Si fa largo, dunque, un’ineluttabile verità: per uno come Bogarde giocare nel Milan sembra davvero il colmo. Alla luce di questo evidente stato di cose Capello alla prima di campionato sceglie di non far affidamento sulle prestazioni di questo macchinoso difensore, capace nemmeno a sfruttare appieno il suo fisico, relegandolo senza dubbio alcuno in panchina. Fa il suo esordio così soltanto alla seconda giornata, in Milan-Lazio del 13 settembre 1997, subentrando a Leonardo. Gioca 25 minuti, giusto il tempo per la Lazio di agguantare l’1-1.

La domenica successiva il tragicomico soggiorno milanese di Bogarde raggiunge l’apice. L’olandese entra nel secondo tempo di Udinese-Milan, con le squadre avviate sull’1-1, un risultato che, tutto sommato, ci può anche stare, quando, a pochi minuti dalla fine, senza nemmeno essere pressato, si inventa uno sciagurato retropassaggio verso Taibi che manda in rete l’incredulo Bierhoff per il 2-1 finale. Viene schierato titolare in Coppa Italia in Milan-Sampdoria: alla fine del primo tempo la Samp è in vantaggio per 2-0; Capello lo cambia con Maini e il Milan vince 3-2! Dopo il disastro di Udine rimette piede in campionato alla sesta giornata, entra al 52’ al posto di Cardone con il Milan in svantaggio in casa contro il Lecce per 2-0: non cambia nulla, i rossoneri perdono 2-1. Fine della corsa. Bogarde chiude il suo rapporto col Milan racimolando appena tre presenze in campionato, partendo sempre dalla panchina, e una in Coppa Italia (la sua unica gara da titolare). Mortificando le aspettative di tifosi e addetti ai lavori, che ne ridimensionano notevolmente il valore. La parentesi italiana, che avrebbe dovuto rappresentare la ciliegina sulla torta della sua carriera, risulta essere, invece, quanto di più triste si potesse immaginare.

Edited by Domy_Magno - 13/8/2010, 11:56
 
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~ mini
view post Posted on 13/8/2010, 08:14




Gabriel Penalba e il famoso complotto...



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Alzi la mano chi si ricorda di Gabriel Penalba. Anche lui, come qualche suo predecessore sudamericano, è passato per Cagliari senza lasciare troppi ricordi. Cellino lo acquista dal Quilmes e lo porta in Sardegna nella stagione 2006-2007. Gabriel s'impegna, ma Marco Giampaolo non vede in lui un calciatore adatto alla causa rossoblù. Alla diciassettesima giornata il mister viene esonerato e arriva in panchina Franco Colomba. E finalmente Penalba può esordire con la maglia rossoblù. Una mezzora convincente di partita contro la Reggina è l'occasione per i tifosi rossoblù di vederlo all'opera. Conclude la stagione timbrando tre presenze e viene ceduto la stagione successiva all'Argentinos Junior. Penalba ora gioca nel campionato francese, nel Lorient. Si è appena trasferito per sostituire il partente Fabrice Abriel.

Nella sua breve esperienza a Cagliari, Penalba ebbe addirittura l'onore di aver un blog interamente dedicato a lui, chiamato "Il blog contro il COMPLOTTO PENALBA". Cos'è il complotto Penalba? I tifosi cagliaritani sono da sempre affezionatissimi a tutte le vicissitudini della propria squadra. I forum dei tifosi rossoblù sono luoghi di discussione e di confronto. Direttori sportivi e allenatori in erba, giudicano le prestazioni dei rossoblù, con un occhio particolare ai nuovi arrivi. Nel 2006-2007 il nome Penalba suscitò la curiosità dei supporters del Cagliari, vogliosi di vedere l'argentino in campo. Marco Giampaolo però non dava fiducia a Gabriel e il suo nome non appariva mai tra i convocati. Fu così che un tifoso rossoblù, commentò l'ennesima esclusione dall'elenco dei convocati del centrocampista argentino, gridando al complotto, il famoso "complotto Penalba". Da quel giorno, ogni qualvolta Gabriel non era presente nell'elenco dei convocati, rispuntava il commento "complotto Penalba". Fu un vero tormentone e alla fine si arrivò all'apertura del blog. Blog che difendeva Penalba e chiedeva a mister Giampaolo di schierarlo in campo.



www.tuttocagliari.net



Anche io ero molto curioso di vederlo seriamente all'opera! Ma, ahimè, si è dovuto aggiungere alla collezione dei giocatori fantasma rossoblù. Vi ricordate, oltre a Penalba, di Semedo, Penedo, Rosano, Vitor Gomes e per ultimo Brkljaca? A parte l'ultimo, penso proprio di no :D
 
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11SIX™
view post Posted on 14/8/2010, 13:10




Infatti no, a parte l'ultimo...
 
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ilcapitano04
view post Posted on 14/8/2010, 13:20




Io ricordo l'ultimo e Penalba pure...
 
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53 replies since 26/11/2007, 17:30   580 views
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