Te lo ricordi?, Le meteore del nostro campionato

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Tottino_92
view post Posted on 30/11/2007, 19:47




andrade!!!!!!!!!!! ahhhhhhahahahah che giocatore!!!!!!!!! ahahah :D :D :D :D :D
 
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11six
view post Posted on 1/12/2007, 07:07




CITAZIONE (burruchaga @ 30/11/2007, 14:43)
Per la Par Condicio oggi tocca ai laziali... :D

L'inesperienza di lotito...

OSCAR LOPEZ: IL PRIMO BIDONE NON SI SCORDA MAI...

Lotito ha fatto ben di peggio di Oscar Lopez (almeno lui qualche partita l'ha giocata): Gonzalez e Mea Vitali invece non si sono visti
 
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burruchaga
view post Posted on 1/12/2007, 12:46




CITAZIONE (11six @ 1/12/2007, 07:07)
CITAZIONE (burruchaga @ 30/11/2007, 14:43)
Per la Par Condicio oggi tocca ai laziali... :D

L'inesperienza di lotito...

OSCAR LOPEZ: IL PRIMO BIDONE NON SI SCORDA MAI...

Lotito ha fatto ben di peggio di Oscar Lopez (almeno lui qualche partita l'ha giocata): Gonzalez e Mea Vitali invece non si sono visti

Prometto che cercherò qualcosa soprattutto su Mea Vitali... Finì a giocare in serie C se non sbaglio...
 
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burruchaga
view post Posted on 1/12/2007, 13:01




E per concludere la settimana...

E IL CUORE GRANATA EBBE UN INFARTO

ILIJA IVIC: E IL TORINO FINÌ IN B

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Diciannove presenze, zero gol. E’ il ritratto in cifre di Ilija Ivic, attaccante, nella sua sfortunata esperienza al Torino. Basterebbe questo dato per innalzarlo nella “hall of fame” alla rovescia delle meteore. Non solo numeri, ma anche fatti. Per la serie: facciamoci del male.

Ilija Ivic nasce il 17 febbraio 1971 a Zrenjanin, cittadina della Serbia settentrionale (allora Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia). Inizia a giocare da attaccante nella compagine locale del Proleter FC: l’esordio in prima squadra è datato 1988 – il giocatore era entrato a far parte delle giovanili soltanto due anni prima –, e i risultati destano subito stupore. Nella prima stagione Ilija mette a segno 10 gol in 36 partite, roba che non ti aspetti da un diciassettenne: nei due anni successivi, il bottino diventerà di 16 gol in 56 partite. Non è uno score da grande goledor, ma è bene sottolineare che Ivic è soprattutto utile al gioco dei compagni, fungendo in pratica da punta esterna più che da centravanti di sfondamento. Da notare che in quella squadra milita anche Dejan Govedarica, futuro desaparecido del Lecce (pure lui nativo di Zrenjanin). Qualche anno dopo – esattamente nel 1995 – vi capiterà invece Vladimir Ivic, fratello del nostro Ilija e più piccolo di sei anni; tuttavia il fratellone si sarà già accasato altrove, e quindi i due non avranno modo di giocare insieme. A proposito di desaparecidos: per la cronaca, è scomparso anche il club. Dal 2005, infatti, il Proleter Zrenjanin si è fuso con Buducnost dando vita al Banat Zrenjanin. Tornando a Ilija, fa notizia nell’estate del 1991 il suo trasferimento alla Stella Rossa di Belgrado: un trasferimento che segna il debutto dell’attaccante nel calcio che conta. Il club ha appena vinto la sua prima Coppa dei Campioni – battendo in finale a Bari l’Olympique Marsiglia – e la sua prima Coppa Intercontinentale, ed è indirizzata verso una rifondazione generale, in vista della scontata partenza di tutti i suoi pezzi pregiati (Savicevic al Milan, Mihajlovic alla Roma, la meteora Pancev all’Inter…). Ivic riesce a ritagliarsi un discreto spazio da titolare, e contribuisce con i suoi 2 gol in 23 partite alla vittoria del campionato della Repubblica Federale di Jugoslavia (comprendente soltanto le squadre di Serbia e Montenegro). In Coppa Campioni, invece, si evince la fine di un ciclo: la Stella Rossa viene eliminata dalla Sampdoria nel corso della fase a gironi. L’anno successivo arriva la vittoria della Coppa di Serbia e Montenegro, mentre nell’estate 1994 c’è il trasferimento all’Olympiakos, in Grecia; Ivic lascia la parte alta dei Balcani con un bottino di 31 gol in tre anni da semi-titolare. L’attaccante sembra trovarsi davvero a suo agio nel campionato greco, e alla prima stagione segna subito 10 gol in 26 partite (saranno 13 le reti l’anno successivo, nello stesso numero di partite). E’ un crescendo inarrestabile: tra il 1996 e il 1999 l’Olympiakos riesce a vincere ben tre scudetti consecutivi, sospinto da giocatori del calibro di Zlatko Zahovic (Pallone d’Oro nel 1999), Pedrag Djorgevic e Grigorios Georgatos, autore di un cameo nell’Inter 1999 e 2001. La stagione 1997/98, in particolare, è quella della svolta per Ivic, che segna addirittura 26 reti in 32 partite. Nel settembre 1998, non a caso, viene convocato dalla Nazionale serbo-montenegrina per la partita contro la Svizzera. Sarà la sua prima e ultima apparizione nella rappresentativa. Nel marzo del 1999 trova comunque il modo di ben figurare in campo internazionale: nella doppia sfida contro la Juventus per i quarti di Champions League è uno dei migliori in campo. E sotto la Mole, evidentemente, c’è chi prende nota. Già, perché pochi mesi dopo – estate 1999 – è proprio il Torino ad acquistare il giocatore. “Se è stato in grado di mettere in difficoltà la Juve – pensano evidentemente i dirigenti granata -, è il giocatore che fa per noi”. Come dite, non è stato questo il motivo dell’acquisto? Beh, peccato: sarebbe stato di certo un alibi meno imbarazzante…

L’inizio della stagione 1999/2000 viene vissuto dai tifosi del Torino con trepidante attesa: la squadra è appena risalita dalla serie B, e sotto la guida del ds Gigi Pavarese il tecnico Emiliano Mondonico si appresta ad un campionato finalmente tranquillo. La campagna acquisti estiva non è dispendiosa ma piuttosto mirata: dal Milan arrivano Cruz e Coco, dall’Inter viene prelevato Galante, da Vicenza l’uruguagio Mendez, dal Monaco l’esperto Diawara. E poi c’è Ivic, stella internazionale da affiancare a Marco Ferrante o al redivivo Andrea Silenzi (ma c’è anche la fantasia di Ciccio Artistico). Il serbo debutta in serie A il 28 agosto 1999, in trasferta contro il Bologna, anticipo del sabato sera: chiamato a sostituire Lentini al ’18 della ripresa, resta in campo soltanto nove minuti. L’espulsione di Mendez, infatti, costringe Mondonico a mettere in campo un altro difensore – Cudini, nella fattispecie –, e tra lo stupore generale è proprio il neo-entrato Ivic a fargli posto. Finisce 0-0. Come dire: un esordio che è tutto un programma. Il turno successivo, comunque, va meglio: gioca il secondo tempo del match casalingo contro il Venezia, e al ’19 serve un assist al bacio per il gol di Ferrante che apre le danze (finirà 2-1 per i piemontesi). Quarantacinque minuti in campo contro Lazio, Roma e Juventus, ma sono presenze molto fumose: contro l’Inter gioca tutta la partita, e deve sorbirsi l’ex compagno Georgatos mentre festeggia per aver messo sulla testa di Vieri il pallone dell’1-0 definitivo. A Verona – in una partita che i granata vinceranno sotto la neve e in nove contro undici – Ivic gioca solo i primi 20 minuti, poi Mondonico gli preferisce Artistico. Il serbo non gradisce e all’uscita dal campo rivolge parole poco generose nei confronti del tecnico, il quale tuttavia dimostra di aver azzeccato la mossa in pieno quando dopo soli 40 secondi lo stesso Artistico segna il gol del definitivo 1-0. Contro il Perugia un’altra prova assai incolore, mentre a Parma sfiora addirittura il gol: sul 4-0 per gli emiliani, Cruz batte una punizione da fuori area che l’attaccante liscia di poco, ingannando tuttavia Guardalben e consentendo al pallone di infilarsi in fondo al sacco. Il gol, ovviamente, viene attribuito al brasiliano. Contro Milan, Udinese e Lecce il serbo continua a non sbloccarsi: il realtà il giocatore ha la curiosa caratteristica di “scomparire” dal campo, senza che nessuno ne rilevi traccia. Ovvio quindi che il gol non arrivi, anche se per un attaccante tanto ovvio non è. A Piacenza, ad esempio, gioca tutto il primo tempo, ma il Torino praticamente non tira mai in porta: esce, e i piemontesi segnano due gol. Intanto è gennaio e la panchina di Mondonico si fa bollente: il tecnico chiede insistentemente una punta, ma Pavarese preferisce rinforzare il centrocampo (con il bidone Jurcic), e allora avanti così. Per fortuna che dal settore giovanile sbuca il diciottenne Emanuele Calaiò, anche lui preferito a Ivic nonostante la giovanissima età. E’ proprio l’attuale bomber del Napoli a togliere spesso le castagne dal fuoco per i granata, mentre Ilija continua a essere solo un nome sul foglio delle formazioni. Le cronache lo ricordano solo nel match casalingo contro la Lazio, perso peraltro per 2-4, quando serve un assist per l’inutile gol di Galante. La disperazione porta Mondonico a far esordire il brasiliano Pinga, il quale come Calaiò non ha imbarazzo nell’estrarre dal cilindro splendide giocate e gol d’autore. Ivic, scalzato da cannonieri poco più che adolescenti, si rassegna alla tribuna. A giugno, l’attaccante avrà collezionato un totale di 19 apparizioni con zero gol messi a segno. E’ la vera delusione del campionato di serie A, la maledizione dei giocatori di Fantacalcio di mezza Italia, la disperazione dei tifosi del Toro che vedono la loro squadra tornare mestamente tra i cadetti. Nell’estate del 2000 arriva il nuovo corso di Cimminelli, che porta con sé il ds Sandro Mazzola e il tecnico Gigi Simoni. Ivic, a sorpresa, resiste alle intemperie del mercato estivo, ma l’arrivo di Scwhoch e Maspero chiarisce che per il serbo al Torino non c’è spazio. Neanche se si gioca in serie B. A fine settembre, il giocatore rescinde il contratto che lo legava ai colori granata fino al 2001, e riceve dalla società una “liquidazione” di un miliardo e 200 milioni di lire. Un “ti pago per andartene” inglorioso, ma che tuttavia subisce anche una bandiera come Gigi Lentini, pochi giorni dopo.

Ormai svincolato, Ivic si guarda intorno alla ricerca di squadre a cui proporsi. A novembre arriva l’offerta del Panathinaikos, che vorrebbe prenderlo e poi girarlo all’OFI Creta in cambio del costaricano Roland Gomez. Ma è una soluzione davvero poco dignitosa, e così l’attaccante decide di accasarsi al rinomato Aris Salonicco, squadra nella quale resta per due stagioni (6 gol in 18 partite). Nel 2001 arriva la prestigiosa offerta dell’AEK Atene, e Ivic non ci pensa su due volte: con i gialloneri della Capitale Ilija chiude in bellezza la sua carriera, segnando 10 gol in 20 partite di campionato. Nel 2002 grazie a un suo gol l’AEK vince la Coppa di Grecia: ma la rete è contro l’Olympiakos e Ivic, pur cosciente di aver messo la firma sull’ultimo trofeo della sua carriera, non esulta per rispetto nei confronti dei suoi ex compagni. Il club ateniese gli regala anche la soddisfazione di riassaporare il clima di Champions League: i tifosi del Real Madrid ricorderanno un suo assist per Centeno che sancì un inaspettato 2-2 finale al Bernabeu, nell’ottobre del 2002. Nel 2004, l’età e i tanti infortuni lo convincono ad appendere le scarpette al chiodo; la dirigenza dell’AEK Atene lo assume tuttavia come direttore tecnico. E quale potrebbe essere il suo primo “consiglio di mercato” se non il fratello Vladimir? In barba alle accuse di nepotismo, Ilija riesce a portarlo all’AEK, prelevandolo nel gennaio 2005 dal Borussia M’Gladbach. Il giocatore si trova tuttora ad Atene, e si sta ritagliando piano piano uno spazio da protagonista. Ilija, invece, ha lasciato la scrivania proprio poche settimane fa, pare in seguito a dissapori con il tecnico Serra Ferrer. Ora è un semplice cittadino, si gode l’affetto della moglie e della figlia, e spera di non diventare una meteora anche del campo dirigenziale. Sarebbe davvero troppo.
 
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burruchaga
view post Posted on 3/12/2007, 14:12




Buon inizio di settimana a tutti... Si parte con un gran colpo di mercato di "Nosferatu" Galliani

TOPO GIGIO AVREBBE FATTO MEGLIO...

Javi Moreno, un topo in maglia rossonera

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Javier Moreno Varela, in campo semplicemente Javi Moreno, è uno di quegli acquisti che ha lasciato il segno nel cuore dei tifosi del Milan: il suo nome infatti rimane uno dei più leggendari tra i pacchi del mercato della storia rossonera, la cui palma va indiscussamente al giamaicano Luther Blisset. Nato a Silla, un paese di 16mila abitanti nella Comunità Valenciana, il 9 ottobre 1974, Javito ha scelto sin da piccolo il ruolo di attaccante in campo: non dotatissimo né tecnicamente né fisicamente, si dimostrava però un centravanti prolifico ed utile al gioco di squadra, tanto da entrare nella prestigiosissima Cantera blaugrana del Barcellona. In maglia Culè però, Javi Moreno non esordisce mai, fatta eccezione per le 10 presenze (con 5 goal) nella stagione 1995/96 disputata nella squadra B dei catalani, nella Seconda Divisione spagnola; la buona media realizzativa di 0.5 goal a gara attira però sul 22enne “delantero” valenciano l’attenzione di diversi club di B, su cui riesce a spuntarla il Cordoba. Al “Nuevo Arcangel”, Javi non replica le buone prove del Barça B, e dunque a giugno, dopo 15 presenze e 0 gol, abbandona anche il biancoverde: scende di categoria, in Tercera Division, nel Yeclano, ma a dicembre ’97 arriva una chiamata che, nonostante un inizio difficile, gli cambierà la vita. E’ quella dell’Alaves, dove Moreno disputa 10 partite con un gol nel 97/97 ma dove “El Raton” diventerà una star qualche anno dopo: in mezzo, prima una buona stagione al Numancia con 18 marcature in 38 partite di Seconda Division. Il ritorno all’Alavés, squadra rivelazione per un biennio infuocato a cavallo della fine del secolo e l’inizio di quello nuovo, lancia Javi nel calcio che conta: 7 goal al primo anno (e qualificazione in Uefa), ben 33 in 34 partite al secondo. Proprio nella stagione 2000/01, Javi Moreno si impone come trascinatore della mitica squadra che si qualificò per la Coppa UEFA 2000/2001, manifestazione nella quale disputa otto partite andando a segno ben sei volte: nella sfortunata finale persa 4-5 contro il Liverpool, Javito timbra il cartellino due volte in tre minuti. Nell’estate 2001, Moreno diventa dunque l’uomo del mercato europeo: su Liverpool, Barcellona e Real Madrid ha la meglio il nuovo Milan, alle prese con la rifondazione di Fatih Terim. Trentuno miliardi di lire il costo per il centravanti, che arriva in tandem con il terzino destro rumeno Cosmin Contra, suo fidato uomo assist in Spagna: in un attacco che annovera Filippo Inzaghi ed Andriy Shevchenko non è semplice per Javi trovare il suo spazio in un Milan che, tra l’altro, parte con qualche difficoltà. Alla fine della stagione, durante la quale la panchina viene divisa tra Terim ed Ancelotti, lo score del “Raton” è di 16 presenze e due gol, più un'altra doppietta in Coppa Italia alla Lazio. Memorabile il match del 24 febbraio 2002, in cui Javi mette a segno una doppietta contro il Venezia in una partita (1-4) crocevia della stagione rossonera: “E’ il Milan di Javi il Supremo” titolava la Gazzetta dello Sport il giorno dopo, pronosticando una rinascita del bomber spagnolo…Pronostico fallito, visto che a giugno il bomber (ma non troppo) valenciano viene impacchettato e rispedito nella penisola iberica, per ben 25 miliardi, all’Atletico Madrid di Jesus Gil: un’occasione quella capitata al duo Galliani-Braida, di perderci il meno possibile in un affare oggettivamente sbagliato, forse rimediato però prima di trasformarlo in un oggetto misterioso. Come viene ricordato dai tifosi rossoneri quel numero 19? “Javi Moreno? Topo Gigio!” vi risponderà la maggioranza. Sarà per quel naso pronunciato, gli occhi stralunati e l’aria buffa. Sarà la traduzione di “El Raton”, suo soprannome di infanzia. Ma Javi Moreno, bomber senza bombe nel piede, è passato agli annali come Topo Gigio: i più attenti si ricorderanno anche i suoi arrivi a Milanello, con il connazionale Josè Mari, a bordo di una modesta (per un miliardario) Opel Zafira, con musica spagnola (prevalentemente il suo gruppo preferito, gli “Estopa”…quando si dice il caso) a tutto volume. Rimpianti? Forse quello di aver pescato uno dei migliori giocatori della stagione precedente, ma senza controllare il suo anonimo passato: un Ricardo Oliveira versione 1.0, direbbero i maligni. Rimpianti di certo non ne ha lasciati neanche a Madrid, dove mette a segno solo 5 gol in 29 presenze in una stagione e mezzo: tanto meno poi al Bolton Wanderers, dove Javi passa a gennaio 2004, rimanendo completamente a secco. Il canto del cigno, o del Topo, in questo caso? Arriva poi a Saragoza, dove nella stagione 2004/05 ha uno score di 18 presenze e 4 gol. Ma che fine ha fatto oggi Javito? E’ tornato quasi 10 anni indietro, al Cordoba: è stato protagonista della promozione dei biancoverdi dalla Terza alla Seconda divisione, realizzando 24 goal in 32 partite. E in questo avvio di anno, ha disputato già 400 minuti in serie B senza l’ombra di una rete. Come a dire, “il Topo” perde il pelo, ma non il vizio!
 
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burruchaga
view post Posted on 4/12/2007, 13:37




La puntata di oggi riguarda una collaborazione Inter- Napoli...

Quando il cervello non è collegato ai piedi...

Caio: uno "studente" modello

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Parlando di Caio si scomoda forse uno dei capostipiti del “bidone” moderno: il giovane brasiliano univa infatti a delle doti tecniche non certo di prim’ordine anche un nome, Caio appunto, che si prestava ai più disparati sfottò tanto dei tifosi avversari, quanto poi, ahiloro, anche dei propri.
Partiamo comunque dal principio: era il ’95 quando un Moratti alla sua prima campagna acquisti da presidente nerazzurro rimase folgorato da quel ragazzino esile che tutti aveva incantato in un Mondiale under 20, da sempre fucina dei migliori talenti del futuro, che lo vide addirittura premiato come miglior giocatore in assoluto.
E come da tradizione “morattiana”, sbaragliata perfino la concorrenza della Juventus, in breve il giovanissimo talento sbarcò all’ombra della Madonnina.
In realtà del suo fugace soggiorno milanese si hanno ben pochi ricordi, quasi nulli quelli legati al campo, che vide soltanto sei volte, peraltro senza l’ombra di un gol; più apprezzabili invece quelli legati alla sua carriera universitaria, sembra infatti che fosse un ottimo studente alla Bocconi…
Ma non fu Milano l’unica tappa del tour italiano di Caio: infatti i dirigenti nerazzurri, disperati dal misero rendimento del ragazzo, lo spedirono a farsi le ossa in quel di Napoli, sperando di favorirne la maturazione. Mai mossa si rivelò meno azzeccata: proprio sotto il Vesuvio infatti i picchi di impalpabilità del giovane paulista raggiunsero i massimi livelli, tanto che storica rimase la frase di un supporter partenopeo rivolta all’allora presidente Ferlaino: ”Ingegné, forse era meglio si accattaveme Tizio e Sempronio". Dopo l’ennesimo fallimento italiano, il nostro fu dunque rispedito in Brasile, dove ha proseguito con alterne fortune la sua carriera, provando anche un’esperienza nelle serie minori tedesche; Caio risulta ora tesserato con il Botafogo di Rio de Janeiro.
 
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burruchaga
view post Posted on 5/12/2007, 22:10




Oggi si torna a Genova sponda Blucerchiata

I DON'T SPEAK ITALIAN...

Walker: il "brivido" difensivo della Samp

Des Walker, l'eroe del Notthingham Forest, il difensore della nazionale inglese più incisiva degli ultimi anni (Italia '90) viene accolto con tutti gli onori alla corte del presidente Mantovani.

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Walker esordisce prestissimo nel Nottingham di mister Brian Clough, Marzo 1984 a soli 18 anni. Da lì a poco l'esordio nella nazionale guidata da Bobby Robson e un crescente numero di estimatori. Per gli scouts è un difensore non altissimo, ma abbastanza veloce ed aggressivo. Walker partecipa ai Mondiali di Italia '90, non è in buone condizioni fisiche ma si fa rispettare e torna nella sua Notthingam collezionando finali di FA Cup e buone prestazioni
Gli Europei del 1992 sono la sua seconda chance internazionale, Walker è orami un giocatore maturo, ha 27 anni ed uno dei punti fermi della sua nazionale. La Samp lo acquista, 1 milione e mezzo di sterline, è l'estate del 1992. La Sampdoria è una buona squadra, in panca c'è il maestro Eriksson, ma è alla fine di un grande ciclo, quello di Boskov. Partiti Vialli, Pari e Cerezo. Resta il Mancio e arrivano a Genova numerosi giovani: Corini, Bertarelli, Serena, Zanini, Sacchetti, Chiesa, il promettente slavo Jugovic e come detto l'attesissimo nazionale inglese Walker. Una buona occasione per l'idolo di Notthingham. Non sarà così: lo stopper inglese spesso sembra trovarsi a disagio negli schemi difensivi di Eriksson, si distrae spesso e fa fare bella figura a molti attaccanti avversari. Mancanza di lucidità e scarso posizionamento mettono in secondo piano l'impegno e la buona velocità di base del nostro Des. Non sarà una grande stagione per i doriani (eliminati subito dal Cesena in Coppa Italia, il campionato regala solo una settima posizione e l'Europa sfugge per un punto) e molti ricordano tra i protagonisti negativi di quella annata lo stralunato Walker. Lo acquista lo Sheffield Wednesday per 2.7 milioni di sterline, un affarone per la Samp. Walker continua a militare in nazionale ma la sua Inghilterra fallisce clamorosamente le qualificazioni ad Usa '94 (Walker controbuisce attivamente al disastro), il nostro eroe non giocherà più con la maglia del suo paese ma vanta comunque 59 presenze, un bottino più che onorevole. Walker va avanti per molti anni nello Sheffield e recupera un rendimento dignitoso. A 38 anni, dopo un pesante infortunio, viene richiamato dal suo vecchio caro Notthingham (nel frattermpo caduto in disgrazie e lontano dai fasti degli anni '80) e gioca altre 60 partite con la maglia che gli ha regalato le maggiori soddisfazioni in carriera. Des prova anche a fare l'allenatore, chiaramente al Notthingham, ma nel 2005 lascia per dare spazio a Gary Megson. Strano ma vero, Walker ha lasciato ottimi ricordi ovunque, tranne che in Italia. Addirittura su Wikipedia, la famosissima enciclopedia libera del web, figura una sua entusiastica e dettagliata biografia: chiedere ai tifosi della Samp... per conferme!
 
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burruchaga
view post Posted on 11/12/2007, 19:34




Rieccomi qua...

CI RIBATTEZAI IL TAMAGOCHI CON IL SUO COGNOME...

Omari Tetradze, la meteora che venne dal freddo

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Tutti si ricordano di Tetradze, ma pochi sanno dove sia andato a finire. Ebbene, siede su una panchina di serie B russa. Non come riserva, ma come allenatore. Strano? Beh, del resto forse qualche qualità quel giovane russo, che sbarcò alla Roma vari anni fa, ce l’aveva. Furono le fragili ginocchia, più che i ruvidi piedi, a segnarne l’infausto destino. Ecco, di preciso, come andò.

Omari Tetradze (Omari e non Omar, badate bene!) nasce il 13 ottobre 1969 in Georgia, e precisamente a Velispiri, nella regione della Colchide, una frazione di terra che si estende nella parte occidentale del paese e che ha origini fortemente legate alla cultura greca. Dedicatosi fin da giovanissimo all’attività calcistica, già a 18 anni ha la grande chance di giocare in prima squadra con la Dinamo Tbilisi, la squadra più importante del proprio Paese, allora facente parte dell’Unione Sovietica. La sua permanenza nel club dura fino al 1990: in questo periodo, Tetradze viene schierato, da ala destra, per ben 25 volte, non poco tenendo presente la sua giovane età. Ma se il calcio regala soddisfazioni e prospettive, la situazione politica di quegli anni nega invece ad Omari la giusta tranquillità: nella primavera 1991 la Georgia ottiene infatti l’indipendenza al termine di un lungo periodo di lotte armate. Il giocatore, che da poco si era accasato in prestito al Mertskhali, squadra della cittadina di Ozurgeti, molto più vicina a casa sua rispetto alla lontana capitale Tbilisi, decide di cambiare aria e “fugge” nella neonata Federazione Russa, della quale diviene cittadino rifiutando il passaporto georgiano. Qui Valeri Gazzaev, allenatore della Dinamo Mosca, gli concede l’opportunità di far parte del proprio team. Si rivelerà una scelta senza dubbio azzeccata, poiché Tetradze in poco tempo si ritaglia uno spazio da titolare. In quattro anni colleziona ben 101 partite (tra campionato e coppe europee) e 11 gol; nel 1994 fa parte anche della spedizione russa ai Mondiali statunitensi, che si concludono con l’eliminazione nella fase a gironi a causa delle sconfitte contro Brasile e Svezia (anche se i tifosi italiani ricorderanno il 6-1 al Camerun che permise agli azzurri di qualificarsi per gli ottavi come migliore seconda). L’esperienza con la Nazionale dà comunque fiducia a Tetradze; il Mondiale, seppure assai sfortunato, conferma infatti la sua inamovibilità sul lato destro della linea mediana. Del resto, Omari aveva iniziato ad accumulare presenze FIFA già dal 1991, prima con l’URSS e poi con la Russia. Nell’inverno del 1995, l’ormai quotato giocatore si trasferisce all’Alania Vladikavkaz: la Dinamo Mosca aveva infatti perso tutti gli obiettivi stagionali (seconda in campionato), e anche mister Gazzaev aveva appena abbandonato la nave per approdare proprio all’Alania. Il club dell’Ossezia parte in sordina ma alla fine si toglie lo sfizio di laurearsi addirittura Campione di Russia, contro ogni pronostico: qui il contributo di Tetradze – e delle sue 30 partite da titolare assoluto – si rivela davvero fondamentale. La svolta è soprattutto tattica: viene impiegato infatti, per necessità e per scelta tecnica, come terzino puro, sebbene con spiccate propensioni offensive (il primo Zambrotta, per intenderci). Scontata la sua permanenza a Vladikavkaz per l’anno successivo: nel 1996 il giocatore va anche in rete, in una delle 31 partite da lui disputate. Nel corso della stessa stagione, con la sua Nazionale partecipa ad Euro 96, in Inghilterra: nel girone C, la Russia incontra Italia, Repubblica Ceka e Germania, non proprio tre squadre materasso. Il match contro l’Italia, datato 11 giugno 1996, cambierà indirettamente la vita di Omari Tetradze: nonostante la vittoria degli azzurri per 2-1, infatti, il terzino viene apprezzato per le sue ottime doti di rapidità e intelligenza tattica. Molti club italiani prendono appunti, e poco importa se la Russia tornerà a casa con solo un punto in valigia, a seguito della sconfitta contro la Germania e del rocambolesco 3-3 contro la Repubblica Ceka (con gol proprio di Tetradze, tra l’altro, al minuto 54). Al termine del campionato russo, quando in Italia è fine novembre, Tetradze è pronto per dare l’assalto al calcio che conta. Voci di corridoio lo danno inizialmente vicinissimo al Manchester City, ma alla fine è la Roma, che ne era rimasta impressionata agli Europei, ad assicurarsi i suoi servizi: la notizia viene ufficializzata il 21 gennaio 1997. All’Alania vanno circa 2 miliardi delle vecchie lire, tutto sommato neanche tanto. Abbiamo visto meteore molto meglio pagate…

La stagione 1996/97 della Roma è iniziata tutt’altro che bene. Il tecnico argentino Carlos Bianchi, sbarcato nella Capitale in estate, si è rivelato un bluff: alcune scelte tecniche discutibili (lo scarso utilizzo di Totti, e l’impiego assiduo del suo beniamino Roberto Trotta) lo rendono particolarmente inviso alla tifoseria giallorossa. In particolare, la difesa dà preoccupanti segni di instabilità, causati soprattutto dalla non più giovanissima età di Aldair, Annoni e Lanna, e dai “vuoti di memoria” dello stesso Trotta. Il ds Giorgio Perinetti decide dunque di potenziale il reparto arretrato nel mercato di gennaio: come detto, arrivano Omari Tetradze dall’Alania per la fascia destra, e un certo Vincent Candela dal Guingamp, destinato a ricoprire il lato opposto. Al contrario del francese, che si rivela un acquisto effettivamente azzeccato, il russo gioca invece soltanto 8 partite di campionato: tra queste, da segnalare il 2-2 interno contro la Reggiana datato 23 febbraio. Qui Tetradze segna un autogol in sforbiciata che permette agli emiliani di portare via, al novantesimo, un punto prezioso dall’Olimpico. In una delle sue rare apparizioni da titolare, il 6 aprile a Cagliari, non riesce a evitare la sconfitta per 2-1 ed il conseguente esonero di Bianchi, sostituito dal duo Sella-Liedholm. In estate, la società tenta (invano) di fargli ottenere il passaporto greco, in modo da non sopportare il peso di un altro extracomunitario – peraltro scarso – in rosa. La stagione 1997/98 in casa giallorossa si apre sotto il segno di Zdenek Zeman, che spende parole d’elogio per l’eclettico (parole sue) Tetradze. La rosa capitolina, tuttavia, è costellata di meteore: Cesar Gomez, Dal Moro, Helguera, Vagner, solo per citarne alcuni. Tetradze a settembre patisce il primo di una lunga serie di infortuni al ginocchio. Si rivede in campo a fine novembre, in Parma-Roma (2-0 per i giallorossi), quando sostituisce Tommasi al minuto 84. Tanta panchina e poi la prima e unica partita da titolare di tutta la stagione, contro il Piacenza in casa (0-0). Seguono 15 minuti a Genova contro la Sampdoria e 20 minuti in casa contro l’Empoli (giusto il tempo di permettere a Cappellini di segnare due gol in scioltezza). In primavera un altro infortunio, a causa di una botta presa in Russia-Lussemburgo, che permette a Tetradze – già soprannominato “Tre tazze” dai tifosi della Curva Sud – di comparire cinque volte in panchina e due volte in campo, ovvero in casa contro il Brescia (10 minuti, sul 5-0 a favore) e contro il Milan (15 minuti, sul 4-0 a favore). Quella contro i rossoneri sarà l’ultima partita di Tetradze con la maglia della Roma: nell’estate del 1998 arriva l’ennesimo infortunio, stavolta davvero grave, che costringe il difensore fuori dal campo per tutta la stagione. Con un gesto nobile che i tifosi giallorossi ancora ricordano con molto affetto, nella primavera del 1999 Tetradze chiede e ottiene la rescissione del proprio contratto, conscio del fatto che l’infortunio sta andando per le lunghe e per la società – con la quale avrebbe avuto ancora 4 anni di stipendio assicurati! – sarebbe stato difficile “piazzarlo” altrove in estate. Omari lascia dunque la Roma e il campionato italiano: per la società capitolina sarebbe stato un peso, e questo a lui avrebbe dato un enorme fastidio. Questione di scelte: l’altro giallorosso Cesar Gomez, colpito da sorte più o meno analoga, decide invece nello stesso periodo di sostentarsi con i soldi di casa Sensi e di “arrotondare” con la gestione di una concessionaria automobilistica…

La stagione 1999/2000 segna la rinascita di Omari Tetradze, il quale riesce a ristabilirsi al 100% e a conquistare la fiducia del PAOK Salonicco. Il cursore destro resta in Grecia per due stagioni, collezionando 59 partite e due reti (tra settembre e ottobre 2000, contro Giannina e Panionios), e vincendo la Coppa di Grecia nel 2001. Il tasso di autostima, sotto le scarpe ai tempi della Roma, aumenta esponenzialmente, e Tetradze accarezza anche il sogno di partecipare ai Mondiali di Corea e Giappone 2002 con la sua Russia. Ma per raggiungere questo obiettivo, è necessario giocare con assoluta continuità, meglio ancora se proprio nel campionato russo: per questo, nel febbraio 2002, il giocatore torna all’Alania Vladikavkaz, agli ordini di mister Oleg Romantsev, rifiutando un’offerta dal campionato giapponese formulatagli dall’amico tecnico Gadzhi Gadzhiev. Tetradze gioca 29 partite ma alla fine non riesce a staccare il biglietto per il Mondiale. La delusione e l’età che avanza convincono Omari ad accettare l’offerta di un club di caratura inferiore: nel 2003 passa al Anzhi Makhachkala, modesta squadra russa (si trova nella regione del Daghestan) che l’anno prima aveva ottenuto una storica partecipazione alla Coppa Uefa ma contemporaneamente era retrocessa in Prima Divisione. Qui Tetradze, tra infortuni e incomprensioni, gioca solo 7 partite. Nel 2004 il giocatore torna nella massima categoria vestendo la maglia del Krylya Sovetov Samara, e riprende a giocare con continuità. Ma alle fine del 2005, dopo una stagione caratterizzata da sole 5 presenze, decide di ritirarsi dal calcio giocato; resta a Samara, ma in qualità di vice-allenatore di Sergey Oborin, e si trova a gestire un parco giocatori del quale fa parte anche Anderi Kanchelskis, ex meteora della Fiorentina, recentemente anche lui ritiratosi. Da qualche settimana, Tetradze è alla guida – in veste finalmente di primo allenatore – dell’Anzhi Makhachkala, e si appresta a vivere la stagione 2007 di First League, che avrà inizio il prossimo 11 marzo. L’Anzhi esordirà in trasferta contro il Sodovik Sterlitamak. In bocca al lupo, Omari!
 
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burruchaga
view post Posted on 12/12/2007, 15:12




Oggi si va sullo stretto sponda sicula...

DALLA GRECIA NON ARRIVANO SOLO EROI...

Panagiotis Gonias: un pacco transitato sullo stretto

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Complice l’inaspettato successo della Grecia all’Europeo del 2004, l’estate di preparazione alla stagione 2004-2005 vide molte squadre, italiane ed europee, avvicinarsi al mercato ellenico, produttore di buoni giocatori, presubilmente a prezzi non elevatissimi. Così mentre l’Inter vedeva salire il valore di Karagounis, regista dei campioni d’Europa, la Roma fondava la sua difesa, sbagliando poi dirà il campo, su un rinato Traianos Dellas, muro della difesa greca, il Bologna ingaggiava il capitano degli eroi del Portogallo Zagorakis, il Messina provò a cercare fortuna in riva all’Egeo. Il presidente Franza ed il direttore generale, all’epoca Mariano Fabiani, prelevarono due giocatori entrambi dall’Olympiakos Pireo. Il primo, Dimitrios Eleftheroupolos, portiere nel giro della nazionale, ingaggiato inizialmente come titolare ma scalzato subito da Marco Storari, si distinse per la sua “immensa sicurezza” (l’ironia si intravede appena) nelle uscite e per la sua straordinaria capacità (anche qui come la parentesi precedente) di bloccare palloni. Il secondo, Panagiotis Gonias, centrocampista classe 1971, con una buona fama in Grecia e con una discreta esperienza anche nella liga spagnola con lo Sporting Gijon. Per parlare dell’amico Panagiotis e della sua esperienza in riva allo stretto non si può che partire da un numero: 118. No, nessun ambulanza, 118 è il numero di minuti che il centrocampista ha giocato con la maglia giallorossa. Sicuramente non si può parlare di presenza costante se si conta che i 118 giri di lancette son stati contati in 5 mesi. La situazione non migliora se si fa vedere le partite in cui Gonias è stato impegnato. Il suo debutto con la maglia peloritana è il 27 ottobre del 2004 nella sconfitta del Messina in casa della Lazio per 2-0. Anche se, vedendo la prestazione del giocatore in campo, a molti sorge il dubbio che Gonias fosse stato utilizzato in quanto il Messina aveva appena 13 giocatori arruolabili per quella partita oltre ai primavera. E’ solo un caso, si dirà, Panagiotis mostrerà il suo valore alla prossima gara. L’occasione si ripresenta il 4 dicembre quando i ragazzi di Mutti scendono in campo al Meazza opposti all’Inter di Adriano. Gonias entra nell’intervallo ed anche qui la sua performance non è delle più esaltanti. Il match finisce 5-0 per l’Inter, il risultato parla chiaro. Anche qui il dubbio nasce spontaneo. Non è che Gonias è entrato solo perché il Messina aveva a disposizione solo 1 titolare su 11? O forse perché sul 3-0 per l’Inter c’era ben poco da fare? Mah, nessuno svelerà mai la verità. Ma ancora non è finita, per Gonias c’è l’ultima possibilità. Si gioca Sampdoria-Messina il 12 dicembre, i doriani sono in vantaggio per 1 a 0, al '62 Massimo Donati è costretto ad uscire e viene sostituito proprio dal nostro eroe. Il match di Gonias è ancora incolore, il Messina esce sconfitto dal San Filippo. Panagionis Gonias non giocherà più con la maglia giallorossa, la sua ultima apparazione sulla panchina del San Filippo fu il 9 gennaio nel match vinto da Parisi e compagni sul Brescia. Gonias fu poi ceduto al Crotone e neanche in terra di Calabria seppe mostrare le sue staordinarie capacità. Se parli di Gonias a Messina parecchi dicono di aver sentito già questo nome ma non sanno dove. Altri, i più affezionati, ricordano Panagionis per la sua “pelata” e per la sua vaga somiglianza a Max dei “Fichi D’India”. C’è una voce fuori dal coro, un giocatore del Messina, fermato da un tifoso per strada dichiarò: “Gonias è il miglior centrocampista a disposizione della squadra, un grande interditore con pieni buoni, non capisco perché Mutti non lo vede”. Eppure, non si è mai capito perché, il giocatore autore di questa rivelazione, ha sempre voluto mantenere l’anonimato. Panagionis Gonias ora non gioca più a calcio a livello professionistico, smise proprio dopo quella sfortunata stagione. Va ricordato però, a difesa dell’atleta, che a Salonicco, sua città natale, tutti lo ricordano come campione. Sarà…
 
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burruchaga
view post Posted on 13/12/2007, 21:24




Oggi andiamo sul golfo di Napoli...

Carlos Alberto Pavón: il sogno degli honduregni, l'incubo dei napoletani

“33 anni fa la storia diede luce a un goleador grazie al quale il popolo honduregno ha iniziato a sognare”. Lo ha scritto un giornalista sportivo che celebrava le lodi del proprio eroe nazionale, ormai al tramonto. Sì, proprio un eroe nazionale, come testimonia la massima onorificenza tributatagli dal Presidente della Repubblica del Paese centroamericano nel 1994, quando il nostro rinunciò alla propria squadra di club per dedicarsi anima e corpo alla nazionale di cui divenne ben presto capitano. Stiamo parlando di Carlos Alberto Pavón, giocatore che abbiamo potuto ammirare in Italia tra il 2001 e il 2003 con la maglia di Udinese e Napoli. Non lasciò traccia di sé tra i friulani che lo girarono poi al Napoli assieme allo sconosciuto Lopez nell’operazione Jankulovski: una delle tante operazioni strampalate dell’ultima era Ferlaino.
Nell’Udinese segnò un gol all’esordio contro il Torino, mentre a Napoli verrà ricordato solo per la folta chioma dei primi tempi, per il grave infortunio alla caviglia, che ne condizionò il rendimento, e per i tanti gol sbagliati. Era il Napoli di De Canio che, ottenendo il massimo da una rosa non del tutto competitiva, sfiorò la promozione in A. Fatale fu quel Napoli-Reggina 1-1, al San Paolo. Era il Napoli di Saber, Moriero, Artistico e soprattutto delle pantomime tra Ferlaino, Naldi e Corbelli che in quel periodo venne anche arrestato. La sapienza tattica di De Canio e i gol pesanti di Luppi poco poterono in un clima in cui era difficile fare calcio. Il sottoscritto ha avuto l’onore di assistere al suo esordio a Fuorigrotta: l’impressione non fu così negativa. Tecnicamente il giocatore c’era, peccato che in campo giocasse da solo, non curante dei compagni e delle disposizioni tattiche. La sua ossessione era dribblare e segnare. Di dribbling gliene riusciva uno su tre, di gol poi….
Eppure in Centro America era un vero e proprio idolo: nel 2000 vinse il premio, istituito dal quotidiano costaricano “Al Dia”, come miglior giocatore centroamericano dell’anno. Ottenne da 23 giornalisti specializzati, 85 voti su 116. Precedette Wanchope, Soto e Dely Valdes. In quel tempo molti prospettavano per lui una carriera fulgida. Più importante di quella del padre, costaricano, noto giocatore del Club Deportivo Marathon, seguitissima squadra in terra honduregna negli anni Settanta. Il padre scappò negli Stati Uniti e la povera madre restò da sola con il figlio che si portò dietro la passione calcistica del padre. I primi calci da professionista li diede nel 1993 al Club Deportivo Olimpia, ma fu la squadra di San Pedro Sula, il Real España, a credere in lui. Avare di soddisfazioni invece le esperienze in Messico con il Deportivo Toluca e il San Luis Potosì. Nel 1995 il grande salto verso il Vecchio Continente per raggiungere il suo amico fraterno e compagno di nazionale Amado Guevara: trovò però poco spazio al Real Valladolid. “L’allenatore preferiva i giocatori sudamericani a noi” ebbe a dire Pavón qualche tempo dopo. Bisognava ripartire da zero e lui non si perse d’animo. Ripartì dal Club Correcaminos de la UAT, serie B messicana, dove fu protagonista con 14 gol, anche se la sconfitta in finale della sua squadra non gli consentì di accedere alla massima divisione. Si accorse tuttavia di lui il Club Nexaca, squadra della capitale, dove giocò a fianco di Aguinaga, Blanco ed Hernandez. La stagione fu positiva e così l’Atletico Celaya fece di tutto per assicurarsene le prestazioni: qui nacque il grande sodalizio con l’allenatore argentino Omar Romano, quello che Pavón amava chiamare Papà Romano, quel padre che lui non aveva praticamente mai avuto. Il grande rapporto tra i due diede i suoi frutti: salvezza tranquilla e 35 gol. Nel 2000-2001 il grande salto nel Monarcas Morella tra le cui fila si distinse per il suo fiuto del gol, conquistando l’unico titolo nazionale vinto all’estero, pur non potendo giocare la finale per infortunio. Nel continente era una star. Il terreno era fertile per tornare in Europa, dove però Udinese e Napoli lo scaricarono senza troppi rimpianti.
Dopo delusioni e infortuni torna al buen retiro del Real España dove conquista il titolo dando spettacolo facendo coppia in attacco con il brasiliano Luciano. Papà Romano lo richiama allora al Morella, ma il sodalizio non è felice come un tempo anche a causa dell’esonero dell’allenatore a campionato in corso. Successivamente breve esperienza in Colombia, per poi vestire in Messico, raccomandato ancora da Romano, la prestigiosa maglia del Cruz Azul: porta con i suoi gol la squadra alle semifinali scudetto, per poi arrendersi all’America. Non gli restava che l’ultimo ritorno in patria. Stagione 2005-06, ancora nel Real España: prestazioni senza infamia e senza lode e due soli gol.
Grandi soddisfazioni, invece, con la nazionale con la quale, però, non è mai riuscito a raggiungere la fase finale dei mondiali, solo sfiorata nel 2002 nella finale con il Messico. Obiettivo fallito anche per Germania 2006 nonostante facesse coppia con il fortissimo Suazo del Cagliari. “Non dovevano mandare via il tecnico Maneduraga” ha spiegato poi Pavón, che decide di lasciare la nazionale. Con la “Bicolor” vanta un terzo posto nella Coppa America del 1997 e il maggior numero di gol segnati, quaranta, avendo superato Roberto Figueroa. Non ebbe altrettanta gloria nelle squadre di club. Un ramingo incompreso.
A Napoli, invece, ricordano ancora quell’incredibile gol che Pavón si divorò, nel febbraio 2002, contro il Cagliari, realizzazione che sarebbe stata pesantissima in chiave promozione. “Se non avessi sbagliato tanti gol non sarebbero state dette tante cattiverie contro di me”. Probabile. Ma se non avesse sbagliato tanti gol, Pavón non sarebbe stato una meteora della nostra rubrica…
 
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11six
view post Posted on 13/12/2007, 21:33




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Dalla foto più che un calciatore sembra uno spacciatore turco!!!! :D :D :D
 
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S.S. VIKING
view post Posted on 13/12/2007, 22:02




Mamma mia su certi mi rivengono i brividi sulla pelle, ne abbiamo presi di bidoni in serie A
 
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11six
view post Posted on 15/12/2007, 16:11




CITAZIONE (S.S. VIKING @ 13/12/2007, 22:02)
Mamma mia su certi mi rivengono i brividi sulla pelle, ne abbiamo presi di bidoni in serie A

E la cosa più bella è stata l'abilità delle società a farli passare per mezzi fenomeni!!!! :D :D :D
 
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burruchaga
view post Posted on 30/12/2007, 18:37




Per riniziare lezione di storia da Bologna

ENEAS: LA MASCOTTE DEL DALL'ARA

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Eneas De Camargo appartiene alla prima ondata di stranieri che arrivarono in Italia alla riapertura delle frontiere nel 1980. Lo acquistò il Bologna dalla squadra brasiliana della Portoguesa, dove aveva vinto un titolo paulista segnando un discreto numero di gol.
Svanite rapidamente l'illusione di avere scoperto un nuovo Pelè, il pubblico del Dall'Ara adottò il brasiliano come mascotte. In questo ruolo Eneas si distinse sempre al meglio. Memorabili la calzamaglia di flanella modello alpino della Julia con cui si presentava in campo d'inverno e un paio di azioni che ancora oggi i vecchi tifosi rossoblù rievocano con le lacrime agli occhi per il riso.
Come quel volta che in Bologna-Torino, semifinale di andata di coppa Italia, sradicò il pallone dai piedi di un compagno che si trovava solo davanti al portiere avversario, arrivando da dietro come un falco. Fu un gesto poco sportivo ma dopo venne il peggio: Eneas inciampò sulla palla facendola rotolare lentamente oltre la linea di fondo. Il compagno non ebbe neanche la forza per incazzarsi, Radice (l'allenatore) prese a testate la panchina, lo stadio esplose in una enorme risata.
Giocò in tutto 17 partite nel Bologna, segnando 3 gol prima di essere rispedito in Brasile per totale incompatibilità con il calcio, oltre che con il clima italiano. La sua vicenda dopo le note del comico ha conosciuto quelle del tragico. Eneas infatti è morto per le conseguenze di un incidente stradale nel dicembre 1988.
 
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GIUSEPPE 1989
view post Posted on 31/1/2008, 10:19




:D :D :D Quante ne ha combinate questo giocatore :sick: :sick: :lol: :lol:


peccato pero' che e' morto :unsure: :( :cry: :(
 
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53 replies since 26/11/2007, 17:30   580 views
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